lunedì 3 gennaio 2011

S. Bolognini, Lo Zen e l'arte di non sapere cosa dire, Bollati Boringhieri, Torino, 2010.

Da sempre il passaggio adolescenziale costituisce un problema per l'umanità, e le soluzioni delle crisi individuali sono mutate nei secoli.
Un tempo, i metodi erano duri, e il Super-io sociale era per lo più repressivo o fanatizzante; i giovani venivano tragicamente usati per le guerre, e molta della conflittualità intergenerazionale presente all'interno di una comunità veniva più o meno inconsciamente canalizzata in quella direzione.
Ai giorni nostri, disattivato in buona parte il disastroso dispositivo bellico di sfogo delle pulsioni distruttive, e indebolite peraltro anche le funzioni protettivo-riparative dei rappresentanti gruppali e sociali del Super-io, i giovani sono più liberi, più esposti e più soli.
Il mio pensiero è che sia in corso una sorta di crudele e silenziosa selezione naturale; i più dotati, in senso complesso psicoanalitico, se la caveranno, sfuggendo alla malattia mentale, alla droga, alla delinquenza, al nichilismo e al disorientamento esistenziale.
Gli altri soccomberanno, in un ambiente "liberistico" sostanzialmente disinteressato alle loro sorti.
Altri ancora si ripareranno sotto un ombrello religioso di qualche genere, sotto il protettorato di un Super-io condiviso e condominiale, che fornirà loro le garanzie di sussistenza psichica di base, funzionando però spesso come un esoscheletro, non come elemento introiettato nel profondo.
Tra le pieghe e le smagliature di un tessuto sociale che non riesce a opporsi alla capillare penetrazione delle droghe, e che anche nelle sue figure istituzionali consente di fatto questa realtà distruttiva (se non vi ammicca addirittura in modo complice anche attraverso la voce seducente di pseudointellettuali che sono in realtà la replica aggiornata del pifferaio di Hamelin), non posso evitare di leggere una inconscia carica aggressiva ostile ai giovani: un genitore che non impedisce al figlio piccolo di mettere le dita nella presa della corrente elettrica non è uno spirito tollerante che consente al bambino di apprendere dall'esperienza, ma il portatore inconsapevole di un desiderio figlicida.
Con un "genitore sociale" perverso come quello attuale, che gabella come illuminato liberismo il proprio sostanziale disimpegno e l'impotenza - probabilmente sperando di sfoltire la concorrenza a sé o alla propria prole eliminando o invalidando la prole altrui - la legge della giungla si ripresenta sotto le spoglie ripulite di una facciata irreprensibile o addirittura progressista. [...]
Sono questioni complesse, come sappiamo.
Non sono, soprattutto, soltanto questioni stereotipe di destra o di sinistra, questo va detto chiaramente una volta per tutte: sono in campo correnti ancestrali ben più antiche.
Chi è un genitore e cittadino responsabile, nella nostra epoca, deve interrogarsi sul proprio reale atteggiamento profondo nei confronti delle generazioni a venire, al di là del proprio narcisismo individuale e dei modelli esteriori avvalorati dal consenso diffuso e dall'omologazione culturale, conformistica e rassegnata.

1 commento:

  1. "Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù" (dal film 'Il terzo uomo')Discutibile, ma proprio perchè discutibile fa riflettere. In ogni caso, non mi pare che il consenso e l'omologazone abbiano mai dimorato neppure nella Svizzera dei cucù.

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