Che cos'è la Storia? Non è forse semplicemente quel tempo in cui non eravamo ancora nati? Io leggevo la mia inesistenza negli abiti che mia madre aveva indossato prima che potessi ricordarmi di lei. Vi è una sorta di stupore nel vedere una persona familiare vestita in altro modo. Ecco qui (intorno al 1913): mia madre in gran toilette, con cappellino, piuma, guanti, biancheria fine che spunta fuori dai polsini e dalla scollatura, ammantata di una "raffinata eleganza" che è smentita dalla dolcezza e dalla semplicità del suo sguardo. E' l'unica volta che io la vedo così, colta nella Storia (dei gusti, delle mode, dei tessuti): la mia attenzione viene allora distolta e passa da lei all'accessorio che è perito; il vestito è infatti perituro, esso prepara all'essere amato una seconda tomba. Per "ritrovare" mia madre, ahimè solo fugacemente, e senza poter mai disporre per molto tempo di questa risurrezione, bisogna che, molto più tardi, io ritrovi su qualche foto gli oggetti che ella aveva sul suo comò: per esempio un portacipria d'avorio (amavo il rumore del coperchio), una boccetta di cristallo intagliato, o anche una sedia bassa che oggi io ho vicino al mio letto, oppure quelle pezze di rafia che essa fissava sopra il sofà, le grandi borse che prediligeva (la cui comoda forma smentiva l'idea borghese della "borsetta").
Così, la vita di qualcuno, la cui esistenza ha preceduto di poco la nostra, tiene racchiusa nella sua particolarità la tensione stessa della Storia, la sua partecipazione. La Storia è isterica: essa prende forma solo se la si guarda - e per guardarla bisogna esserne esclusi.
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