domenica 28 novembre 2010

L. Blisset, Q, Einaudi, Torino, 1998.



Sulla prima pagina è scritto: Nell'affresco sono una delle figure di sfondo. La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi.
Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi. La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi l'eterna oscillazione delle fortune umane. Il libro, forse l'unica copia scampata, non è più stato aperto.
I nomi sono nomi di morti. I miei, e quelli di coloro che hanno percorso i tortuosi sentieri. Gli anni che abbiamo vissuto hanno seppellito per sempre l'innocenza del mondo.
Vi ho promesso di non dimenticare.  Vi ho portati in salvo nella memoria. Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offuschi lo sguardo che si volge indietro, attutendo il frastuono delle voci, delle armi, degli eserciti, il riso, le grida. Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio.

domenica 14 novembre 2010

La montagna (rivenuto, da qualche parte, in rete)


 In Albania c’è una montagna piena di sangue. Lo assorbe dappertutto. Una volta l’anno, in un immenso anfiteatro di roccia sotto la sua cima, migliaia di montoni, capre, agnelli, pecore e galli vengono sacrificati davanti a eserciti di pellegrini musulmani, affiancati da cattolici, cristiani ortodossi, agnostici, superstiziosi e atei affascinati dall’invisibile.
È l’ultimo macello d’Europa. Una densa nube rossastra ne nasconde la cima per giorni. Ha un nome terribile, che nessuno pronuncia e che in albanese vuol dire “paura”. Loro la chiamano semplicemente “la Montagna” per rispetto e per depistare gli intrusi.
In cima, accanto a una tomba, c’è una grande vasca di pietra dove cola il liquido fumante. Il sacrificio è per lui, Abbas Ali (il genero di Maometto), secondo la tradizione scampato miracolosamente al massacro di Karbala, in Mesopotamia, nel 680° secolo dopo Cristo è fuggito fin qui. La tomba è sua ed è attorno ad essa che gli albanesi – in maggioranza bektashi, cioè di origine sciita – vengono a sgozzare animali e ballare notti intere attorno al fuoco, stringendosi ai maestri spirituali. Guardano loro come venerabili dopo mezzo secolo di ateismo di Stato. Portano vestiti verdi, turbanti, barbe lunghe, e tutti hanno sguardi pieni di calma serafica.
Baba Edmundi, appena tornato dall’Anatolia, dona a centinaia di pellegrini il proprio respiro. Aspira, nel suo corpo, tutte le sciagure che gli vengono raccontate. Un anziano lo abbraccia dopo avergli raccontato un sogno e lo bacia sul petto. Inspira amori infelici, tristezza inguaribili, dolori lombari, alcolismo dei parenti, debiti non pagati.
I bektashi sono in bilico tra sciismo e sunnismo, attraverso la poetica e i mistici dell’Islam senza confini. Sono considerati più vicini al Cristianesimo che all’Islam. Invece della Mecca pellegrinano nella loro anima. I loro maestri sono più importanti del Corano e della Legge. Dove loro dormono sarà santificato dal loro sonno. I maestri hanno raggiunto dentro sé l’Uomo Perfetto che, a sentire i bektashi, abita dentro ognuno di noi. I maestri sono l’esempio.
I maestri respingono le passioni e praticano il celibato, l’ascesi e un severo noviziato, come i monaci cristiani. Non sono presenti donne blindate con veli o recluse in spazi ristretti. Sulla sacra montagna ci sono folle di ragazze in jeans, con braccia scoperte o in minigonna. Il velo fu vietato già nel 1937 a segnare la rottura con l’Albania e con le gerarchie conservatrici della Jugoslavia e del Kosovo.
Abbas Alì ogni anno ad agosto, scende dal cielo per cinque giorni. Si vedono i macellai-sacerdoti, gli agnelli spaventati, gli schizzi di plasma, il nauseabondo olezzo di carne, i meandri degli intestini trascinati dai cani, la puzza di bruciato, i mucchi di pelli, teste di mucche sgozzate. Migliaia di falò proiettano sui colli le ombre dei danzatori, cerchi di vecchie donne attorno ai roghi, ragazzi che girano gli spiedini o bevono la birra. Dopo cinque giorni il santo, abbuffato e sazio, torna in cielo. Gli zingari raccolgono le interiora rimaste nei canali di scolo. Le pelli sono state portate via e ora mancano i lupi, che fiutano da giorni il sangue lontano.

sabato 9 ottobre 2010

M. Schneider (1989), Glenn Gould. Piano solo, t.i., Einaudi, Torino, 1991

 La bellezza è intollerabile e intollerante. Senza pietà sferza il nostro sguardo, seduce le orecchie già attente, cattura le nostre parole sospese, mistura di fulmine e lentezza. Lei basta a se stessa, né si interessa a noi, ma il suo richiamo è irresistibile e pretende una risposta che noi non conosciamo. Le battute d'introduzione della Sesta partita ci danno questa gioia dolorosa, questa luce fuggitiva che ci divide, questo "principio del terribile" di cui parlava Rilke. Qualcosa che svanisce nell'atto di compiersi. Semplici accordi arpeggiati, eppure, quasi un nonnulla, una struttura salda, austera e povera, che si apre soltanto grazie al fatto che ci apre. Sicuro, senza calcolo  nè intenzione, il gesto incide una curva nella carne con l'indifferenza di un bisturi; e la mia carne si confonde con quella della musica.

M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia


Afflitto oltremodo andava Don Chisciotte per la sua strada, pensando all'orribile burla che gli avevano giocato gli incantatori trasformando la sua signora Dulcinea in una rozza cafona, e non riusciva ad escogitare un rimedio atto a ricondurla al suo primitivo essere; e cotesti pensieri lo assorbivano talmente che, senza pensarci, allentò le briglia a Ronzinante, il quale sentendosi libero si fermava ad ogni passo a brucare la verde erba che abbondava in quei campi. Dal suo torpore lo trasse Sancio Panza dicendogli:
- Signore, le tristezze non si son fatte per le bestie bensì per gli uomini; ma se gli uomini le senton troppo, diventano bestie; Vossignoria si scuota, torni in sé, riprenda le briglie di Ronzinante, si risvegli e ravvivi, e mostri quella gagliardia che conviene abbiano gli erranti cavalieri. Che diavoli la prendono? Perché tanto abbattimento? Siamo qui o in Francia? Satanasso si porti tutte le Dulcinee del mondo, poiché vale più la salute di un solo cavaliere errante che tutti gli incantamenti e trasformazioni della terra!

martedì 14 settembre 2010

R. Barthes (1980), La camera chiara, t.i., Einaudi, Torino, 1980.

Che cos'è la Storia? Non è forse semplicemente quel tempo in cui non eravamo ancora nati? Io leggevo la mia inesistenza negli abiti che mia madre aveva indossato prima che potessi ricordarmi di lei. Vi è una sorta di stupore nel vedere una persona familiare vestita in altro modo. Ecco qui (intorno al 1913): mia madre in gran toilette, con cappellino, piuma, guanti, biancheria fine che spunta fuori dai polsini e dalla scollatura, ammantata di una "raffinata eleganza" che è smentita dalla dolcezza e dalla semplicità del suo sguardo. E' l'unica volta che io la vedo così, colta nella Storia (dei gusti, delle mode, dei tessuti): la mia attenzione viene allora distolta e passa da lei all'accessorio che è perito; il vestito è infatti perituro, esso prepara all'essere amato una seconda tomba. Per "ritrovare" mia madre, ahimè solo fugacemente, e senza poter mai disporre per molto tempo di questa risurrezione, bisogna che, molto più tardi, io ritrovi su qualche foto gli oggetti che ella aveva sul suo comò: per esempio un portacipria d'avorio (amavo il rumore del coperchio), una boccetta di cristallo intagliato, o anche una sedia bassa che oggi io ho vicino al mio letto, oppure quelle pezze di rafia che essa fissava sopra il sofà, le grandi borse che prediligeva (la cui comoda forma smentiva l'idea borghese della "borsetta").
Così, la vita di qualcuno, la cui esistenza ha preceduto di poco la nostra, tiene racchiusa nella sua particolarità la tensione stessa della Storia, la sua partecipazione. La Storia è isterica: essa prende forma solo se la si guarda - e per guardarla bisogna esserne esclusi.

domenica 5 settembre 2010

W.R. Bion (1982) , La lunga attesa. Autobiografia 1897-1919, t.i., Astrolabio, Roma, 1986.

 Vecchi fantasmi, che non muoiono mai. E neanche scoloriscono; conservano meravigliosamente la loro giovinezza. Davvero, riescono ancora a scorgere le gocce di sudore, ancora fresche, ancora distinte, contro il pallore della fronte. Com'è possibile? Sono come gocce di rugiada sui petali delle rose Rédouté. Una meraviglia, vero? Per favore, per favore, sta' zitto. Scriverò, davvero, lo farò. A Mamma Inghilterra: quella vecchia puttana!
Il bagno turco mi aveva enormemente rinvigorito; mi sentivo così pulito. Ma non è veramente così, sapete; è una specie di trucco. In realtà uno continua a puzzare. Hanno trovato il sistema di farci sembrare vivi, ma in realtà siamo morti. Anch'io? Ma certo, anch'io ero morto ... l'8 agosto 1918. Su questo argomento ci facemmo una bella risata, al circolo, dove i topi ... Ce n'era uno, pelato, gonfio, nutrito di cadaveri, che una notte mi si era piazzato sul petto. Mi aveva fatto ridere, perché mi aveva solleticato il viso con i baffi.
"Sta bene?". Mi ridestai con un sobbalzo, senza più senso dell'umorismo, per trovarmi di fronte all'inserviente del bagno turco che mi scrutava in viso. "Mi scusi, signore, ma mi pareva che si fosse messo a sognare". Mi affrettai. Non mi era rimasto molto tempo per prendere il treno per Cheltenham, dove mia madre era andata ad abitare in modo da poter stare vicina a mia sorella in collegio.

sabato 28 agosto 2010

M. Benasayag e G. Schmit (2003), L'epoca delle passioni tristi, t.i., Feltrinelli, Milano, 2004.


Nella mente di coloro che vogliono aiutare i giovani domina l'idea di un futuro minaccioso. Ecco che allora chi esercita una responsabilità pedagogica si comporta come se avesse di fronte un pericolo: deve combattere per superarlo e per aiutare il maggior numero di persone a uscirne vittoriose. Così la nostra società diventa sempre più dura: ogni sapere deve essere "utile", ogni insegnamento deve "servire a qualcosa". Con la vittoria assoluta del neoliberismo, infatti, l'economicismo è diventato, nel mondo odierno, una specie di seconda natura. L'economia é.

sabato 14 agosto 2010

S. Vegetti Finzi, (1986), Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano.

Storicizzare la psicoanalisi costi-tuisce [però], in un certo senso, un'impresa anti-psicoanalitica, perché questa forma di sapere presenta una resistenza interna alla dimensione storica. Il suo soggetto, l'inconscio, è carat-terizzato dall'atemporalità, il suo sapere si costituisce attraverso una pratica, l'intepretazione, che si vuole personale, provvisoria, sottratta alla generalizzazione, mentre il Movimento psicoanalitico, forte della sua legittimità istituzionale, si è sempre ritenuto il depositario del patrimonio teorico e metodologico acquisito. Non possiamo tuttavia concedere alla psicoanalisi il privilegio di considerarsi una teoria astorica o una prassi privata. Alla relativa staticità del suo oggetto fa riscontro infatti la storicità delle sue domande e il mutare dei suoi obbiettivi in base alle situazioni sociali e culturali nelle quali lo psicoanalizzare accade.

venerdì 13 agosto 2010

T.H. Ogden (2005), L'arte della psicoanalisi. Sognare sogni non sognati, t.i., Cortina, Milano, 2008.

Ogni madre o padre che abbia più di un figlio ha imparato (con una combinazione di stupore e delizia) che ogni nuovo bambino sembra essere solo un lontano parente dei suoi fratelli e sorelle maggiori. Un padre e una madre devono reinventare cosa è essere genitore con ciascun bambino e devono continuare a farlo in ogni fase della vita del bambino e della famiglia.

giovedì 12 agosto 2010

M. Eigen (1999), Mistica e psicoanalisi, t.i., Astrolabio, Roma, 2000.

Da bambini ci veniva insegnato ad ammirare la fede di Abramo. La storia fa parte della liturgia del mattino, viene letta sette giorni alla settimana, tutte le settimane, tutti gli anni. I nostri insegnanti non sembravano particolarmente sensibili alla sua sgradevolissima consistenza. Ce la imprimevano nell'anima, in una sorta di circoncisione psico-spirituale. Probabilmente provavano un piacere sadico per il nostro orrore latente: Abramo è nostro padre, Dio ci salva dal nostro folle padre. Ma chi ci salverà dal nostro folle Dio?

lunedì 9 agosto 2010

W.R. Bion (1965) , Trasformazioni. Il passaggio dall'apprendimento alla crescita, t.i., Astrolabio, Roma, 1973.

E' impossibile conoscere la realtà per la stessa ragione per cui è impossibile cantare le patate; esse possono essere coltivate, estirpate o mangiate, ma non cantate. La realtà deve essere 'essuta': dovrebbe esserci un verbo transitivo 'essere' da  usare al passivo espressamente con il termine 'realtà'.

domenica 8 agosto 2010

G. Guidorizzi [a cura di] (2009), Il mito greco, Mondadori, Milano.


Visto che, allora, sulla Terra nessuno più moriva, gli déi intervennero e Ares, lo Sterminatore, liberò la Morte. Così Sisifo dovette scendere nell'Ade. Non aveva però esaurito le sue astuzie: prima di morire aveva raccomandato a sua moglie Merope di non tributargli onori funebri e nell'oltretomba si mostrò tanto afflitto di quest'offesa, che riuscì a impietosire gli déi infernali, i quali gli consentirono di tornare sulla Terra per punire la sposa e compiere i funerali. Il patto era che subito dopo ridiscendesse tra i morti, ma Sisifo si guardò bene dal rispettarlo. Dovette, comunque morire, alla fine, e nell'Ade compare tra i grandi peccatori. Il suo inutile supplemento di vita è castigato con una pena simbolica: com'era stata vana la fatica a ingannare la Morte, così è vano il suo infinito sforzo di spingere fino in cima a un monte un macigno, perché questo, inesorabilmente, rotola indietro.

venerdì 6 agosto 2010

H. Fainberg (2005), Ascoltando tre generazioni. Legami narcisistici e identificazioni alienanti, t.i., Franco Angeli, Milano, 2006.



"Nessuno" è "Qualcuno" che non appartiene al mondo della persona che sta parlando - egli non conta, è invisibile. Tuttavia, diventa visibile quando è osservato da un punto di vista diverso.

mercoledì 4 agosto 2010

S. Argentieri (2010), A qualcuno piace uguale, Einaudi, Torino.

... mi riferisco all'eccessiva attenzione e importanza deputata dagli uomini alla loro virilità e al bisogno di esibirla  e vederla confermata; sul piano esplicito e concreto delle performance sessuali e delle conquiste femminili, delle misure e dei numeri, ma anche - nei casi estremi e patologici - con la sopraffazione e la violenza contro le donne e contro i maschi più deboli. Il fallo non è un mezzo per incontrare l'altro ma un'arma impropria; la partner non è un'occasione di piacere condiviso, ma un test della propria prestazione. Alla svalutazione delle donne corrisponde la parallela idealizzazione degli uomini, la ricerca della frequentazione maschile di gruppo, con intimità corporee da caserma o da stadio tutt'altro che limpide, colorate da vistose quote sadiche omosessuali al tempo stesso agite e negate.
Direi che lo stile fascista è il modello fallico per eccellenza, tanto prepotente quanto interiormente fragile. D'altronde, sappiamo bene quanto le fantasie di onnipotenza siano l'altra faccia delle angosce di impotenza. La fallicità si manifesta infatti anche sul piano simbolico della competizione, dell'esibizionismo della forza muscolare e del potere, del piacere della sfida; tanto prepotente quanto continuamente esposto al rischio del fallimento.

martedì 3 agosto 2010

F. De Masi (2010), La memoria e la riparazione, in Intendere la vita e la morte, Franco Angeli, Milano.

Freud ci ha ricordato come la fantasia di continuità indefinita dell'esistenza personale alberghi nella mente dell'individuo (l'inconscio non può credere alla propria morte) ma questa stessa credenza può esprimersi collettivamente nella filosofia, nel mito o nella religione.

lunedì 2 agosto 2010

R. Dadoun (1992), Sigmund Freud, t.i., Spirali, Milano, 1997.

Da Avvertenze preliminari

... ci sembra, e numerose manifestazioni potrebbero attestarlo, che il pensiero freudiano costituisca un pezzo strategico di primaria importanza nella conflittualità propriamente antropologica, concernente cioè l'essere, la realtà essenziale e la sopravvivenza dell'uomo, che caratterizza ormai un mondo segnato da una simmetria terribile e mortale. Sia la tirannia e l'influenza dei sistemi, delle organizzazioni e delle strutture di massa, con i loro capi dal carisma nebuloso e tremendo, sia le stupefacenti capacità d'illusione dei media, sia gli strumenti di distruzione totale in permanente disponibilità e in costante incremento esigono, a nostro avviso, che si dia o si ridia alla soggettività umana, al Soggetto, ossia all'individuo lucido, non ignaro delle sue strutture interne, della sua "terribile simmetria", un potere ineguagliato e propriamente elementare di resistenza, di sfida e di iniziativa. Per parafrasare una celebre formula di Freud, potremmo dire: Dove la Massa domina, ottenebra, schiaccia, il Soggetto deve avvenire!
Chi meglio di Freud ha designato le vie e i mezzi di quest'autonomia individuale, ha isolato e descritto le energie prime per una lucidità e una libertà fondate sull'intima e necessaria conoscenza dell'inconscio psichico e dell'inconscio politico? Ma, se in lui si trovano i principi e gli strumenti di un pensiero chiaro e distinto e alcune regole di tecnica psicologica, "elastiche", precisa, Freud non propone né regole di condotta e d'azione né leggi di moralità pratica; in nessun momento Freud si presenta come una "guida di vita".

domenica 1 agosto 2010

M. Mancia (2010), Narcisismo. Il presente deformato dallo specchio, Boringhieri, Torino.

Quello che non appare chiaro nel pensiero di Freud è quale tipo di dolore mentale produca nell'uomo il dover uscire dal suo universo narcisistico e dover riconoscere la dipendenza dall'altro e il bisogno dell'altro, e quale collocazione possa avere questo dolore nell'ambito della relazione analitica.

sabato 31 luglio 2010

M. Klein (1953), Amore, odio e riparazione, t.i., Astrolabio, Roma, 1969.

… in senso lato, l’odio è una forza distruttiva e disintegrante che tende verso la privazione la morte, l’amore una forza armonizzante, unificatrice e tendente alla vita e al piacere. Ma bisogna subito fare alcune riserve: difatti l’aggressività, che è strettamente collegata all’odio, non è totalmente distruttiva o dolorosa, né nei suoi scopi, né nel suo funzionamento; e l’amore, che germoglia dalle forze vitali ed è così strettamente connesso col desiderio, può agire aggressivamente e perfino distruttivamente. Lo scopo fondamentale della vita è vivere e vivere piacevolmente. Nel tentativo di raggiungere questo, ognuno di noi cerca di affrontare le forze distruttive e di sistemarle dentro di sé sfogandole, deviandole e fondendole in modo da ottenere la massima sicurezza possibile nella vita e, magari anche nei piaceri; scopo questo che può essere raggiunto con infiniti adattamenti sottili e complicati. I differenti risultati in ogni individuo sono in complesso il prodotto della costante interazione, dalla nascita alla morte, di due fattori variabili: la forza delle tendenze amore e odio (le forze emotive in noi) e l’influenza dell’ambiente.